AL SUONO DELLA SVEGLIA

cropped-live-in-the-street.jpg-Un altro giorno…un altro giorno è cominciato! Non ancora, fin quando resto a letto non comincerà! Lo sfido? Si! Tempo, ti sfido! –

Dieci secondi, dieci secondi dopo questa sfida lanciata al tempo mi ritrovo in piedi con la testa nell’armadio confuso, sporco, non odora di niente, sembra di affacciarsi direttamente all’interno del cranio, divise sparpagliate, un pezzo la e uno qua, come i pensieri che riempono il cervello.
Gli istanti prima del risveglio sono quelli di maggiore lucidità e libertà, in quegli attimi eterni sei te stesso, fin quando non indossi quelle incorruttibili maschere che scandiscono il trascorrere della giornata. In ogni occasione loro sono con te, o meglio, loro sono te e nell’istante in cui il corpo decide di staccarsi e liberarsi dal limbo del risveglio ecco che fanno il loro ingresso in scena, si alza il sipario.
Sono in studio, è passata solo mezz’ora da quando ho lanciato la mia sfida, mi ritrovo circondato da libri, libri, solo libri – quante cose scritte… quante sono rimaste in silenzio? chi sa quante altre potevano prendere vita ma sono rimaste rinchiuse nelle teste ancora stordite dal risveglio.
Ore nove del mattino, il sole è timido, si affaccia sulla terra giusto per cortesia, per rassicurarci che ancora esiste, che ancora si prende cura di noi, ma oggi è stanco ed è come se mi sussurrasse ad un orecchio “ Amico caro, la mia forza è l’inerzia, io non conosco il buio, non conosco la sera che culla
i vostri sogni, non conosco fatica, io sono sempre qui non abbandonerò mai il mio appuntamento con ognuno di voi. Ma oggi sono stanco e le compagne nuvole sono venute a sorreggermi, sagge e compassionevoli, conoscono l’inizio e la fine, si creano e si distruggono, sono immortali, solo una cosa mi unisce a loro, l’inerzia, noi non ci stanchiamo della nostra vita noi la viviamo. Ora vivi, non rendere inutile il mio lavoro”.
Sto parlando con il sole ma affianco a me c’è la cameriera del bar che aspetta che le paghi il conto, non è la solita di tutti i giorni, quella che dai tre euro in su di mancia lancia occhiate che sanno di passione infinita. E’ una ragazza semplice, che non si lascia guardare negli occhi : Aspetto! – mi dice – sicuramente starà pensando a qualcosa di importante. – e intanto le nuvole cominciano il loro spettacolo, piove.
Apro il solito cassetto, il secondo dove in fondo a destra c’è il portamonete, mi giro e trovo la ragazza già sull’uscio della porta che mi saluta e scompare- pietà la sua, voglia di dimostrarmi qualcosa?
Voglio raggiungerla chiederle il perché del suo gesto ma in quell’istante il riflesso del sole su uno specchio mi acceca, l’arcobaleno come un pavone mostra la sua coda, il sole vince l’imbarazzo e proclama la sua forza. La vista è deformata, mille punti come stelle comete mi stordiscono e mi divertono, il mondo è scomparso, non c’è più nulla oltre che i miei puntini di luce, si spostano, li seguo; cadono, li cerco. In questo momento sono libero, non penso, agisco come un bambino che vede per la prima volta la neve, è proprio così che mi sento, un bambino! la mente è come Atlantide, ogni razionalità è sommersa. Nei miei occhi l’universo.
La rincorsa alla scoperta della verità della ragazza è svanita come le scie di luce nei miei occhi, si è rivelata solo un desiderio inconscio di comunicare con qualcuno, ed ora che questo ha superato la soglia della coscienza prendo atto che sono il solo a tenermi compagnia, esausto di me stesso e dei libri, folla di termini che si contraddicono e che fanno l’amore in un tempio antico.
Che sarebbe il mondo senza parole, senza un altro a cui vomitare i propri messaggi? Un mondo vegetale dove ogni cosa è al suo posto, un mondo in cui solo abbandonandosi al caso la parola troverebbe la sicurezza della riproduzione e del continuo del proprio messaggio come polline primaverile.
Questa stanza è il mio capo la mia prigione, il secondino sull’uscio perfettamente sigilla il confine fra me e l’esterno, fermo ed impassibile, unico moto il manico dell’arma che stona alle sue spalle, del tutto fuori schema. L’uniforme è rigida come una tela bianca che attende di essere dipinta,proietto su essa come rigurgito di memoria la sagoma della cameriera, è coloratissima emana luce, fa quasi impressione il suo colore vivo senza confini ne contorni, è entità in armonia con tutto il resto ne è parte, così come riempe la tela, riempe la mente, non da spazio ad altro, si è impossessata di me e in me è un sogno.
Quando ho scoperto i suoi occhi ho provato un brivido, annegavo nel suo mare, azzurro, calmo, sagace ed ho colto in un attimo uno scorcio di mare del sud, caldo, vivo, nascosto. La sua distrazione mi ha abbagliato come un flash di macchina fotografica. Click, e l’emozione è fissata, indelebile.

2° Capitolo

La giornata scorre tra i suoi argini, un filo ci traina, non possiamo resistere ogni mattina ci svegliamo, riapriamo gli occhi, sicuri di cosa stiamo per fare.
Rivivo in me nel mio passato ciò che è stato senza diverbio. Come in un sogno mi faccio prendere dal caso, osservo la china che cola dalla scrivania, scappando dalla galera di vetro in cui era imprigionata, scorre corre verso il suolo dove potrà espandersi, diventare macchia e se lasciata
indisturbata diventare tutt’uno con il suolo, incrostarsi così da divenire parte di esso, parte di quel pavimento in tufo che assorbe con avidità tutto ciò che gli cade dall’alto.
Ho voglia di ballare una morna, lenta, passionale, triste, lasciarmi liberare dalla musica, girare lunaticamente a ritmo di morna. Un gelo dietro la schiena, le spalle son bloccate, la sedia su cui siedo è scomoda, dura come un trono di un re che non ha voglia di esserlo, in balia dei suoi sogni di libertà, poter correre in un prato senza essere controllato da quella corona che come una madre ambiziosa di gloria,
poggiata su una roccia che attende il ritorno del suo strumento. Voler essere brigante per ballare, ubriacarsi e lottare, non più re per danzare, sorseggiare e uccidere.
Ahimè, voglia di libertà balli davanti a me, sei taranta, ora sei taranta, i piedi si muovono, le gambe impazziscono, il cervello è impossessato da quel ritmo da quel momento di libertà. Basta, meglio distrarsi un po’ da questi pensieri fastidiosi che minano la serenità della tranquillità.
E’ ora di uscire da questa prigione, non voglio più stare qui, le mura si restringono attorno a me, l’aria diventa irrespirabile, sono come in una scatola le cui mura fatte di specchi riflettono la mia irrequietudine.
Stordito sono in strada, auto, persone, animali, tutti un ruolo, tutto è una commedia ai miei occhi ed io spettatore, in attesa di entrare in scena ed eccomi accontentato, con il vassoio cammina sicura sull’altro lato della strada, le auto sfrecciano ma nonostante il caos sono certo che sia lei.
Rivederla mi fa tornare a riflettere sul motivo della fuga dalla quotidianeità degli eventi che mi hanno condotto verso la diserzione ma ora non mi curo di lei, passo e vado.
Entrando in scena ora si ritornerebbe magari a parlare di me e della vita solitaria che mi trascino da ormai tanto tempo, non è quel che cerco. Cerco altro, cerco nuovi sfondi alla mia scena.